Il sabato mattina, venuta l'ora della partenza voci pie di memorie, voci tenere di cose gli ammollirono l'anima come nella sera memorabile. L'arancio, il mandarino del giardinetto, le finestre aperte della sua povera casetta vuota, le rose, il bel pino dell'orto gli parevan guardare a lui mentr'egli passava sul battello, con il dolce sguardo accorato dei dolenti che non han voce. A misura che si allontanava, i richiami del presente più e più potevano contro i richiami del passato, del romito asilo di pace; ma correndo in ferrovia Val Porlezza, lo riprese improvviso nella memoria il senso del turbamento premonitorio che, giorni prima, passando di là e durante tutto il viaggio, aveva provato. Era egli dunque stato tratto in Valsolda da una energia soprannaturale? O forse il primo impulso n'era venuto da un sogno dimenticato? Forse gli eccitamenti di Jeanne e l'abitudine di recarsi sul lago in primavera erano stati causa del sogno? Passata Grandola, all'apparire dell'orientale seno di cielo che oltre il sottile colle di Bellagio si sprofonda fra due ali di montagne in fuga più giù verso Lecco, trasalì come se già gli fosse apparsa Jeanne, non pensò più che lei e il prossimo incontro. A Rovato, passeggiando in attesa del treno di Milano, il cuore gli batteva forte. Al primo vederla si sentì più tranquillo. Gli fu gradito di non trovarla sola. Il mormorato "pietà di me', benchè giungesse previsto in quella o in una simile forma, gli strinse il cuore. Ella era bellissima nel suo abito di crêpe crème, guernito di velluto nero, col suo cappello Rembrandt a piume nere, con i guanti neri e due larghi cerchi d'oro liscio ai polsi.
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