Le vampe dell'orgoglio, della sovreccitazione intellettuale gli assorbivano il calore della vita inferiore. Egli considerava con disprezzo superbo il pericolo di cadere, lasciando Jeanne, nelle sensualità basse, si credeva immune per sempre da quelle febbri. Lo colpì bene il ricordo della fallace sicurezza cui gli aveva dato nelle ore mistiche lo schifo delle colpe sensuali; ma perchè non avrebbe fine una volta la vicenda degli ardori e chi poteva dire che non fosse già finita?
Cacciò quel ricordo ed entrò nella deserta Piazza Maggiore in faccia alla magnificenza spettrale delle grandi occhiute logge nere che un glorioso maestro antico cinse all'opera decrepita e cieca di un confratello antichissimo, come qualche umanista potè cingere di splendore idee medioevali.
Pensò ch'era forse suo destino di abbandonare fra poco e per sempre la città onde il genio tutelare risiede in quelle meravigliose logge e nella sottile, altissima torre che vi sorge accanto e serve loro, secondo diceva Carlino Dessalle, di punto ammirativo. Venticinque anni di ricordi gli s'illuminarono nella mente, come ai moribondi il corso intero della lor vita. Rivide nel bagliore di un lampo infiniti luoghi della città congiunti a memorie indelebili, dal cortile di casa Scremin dove fanciulletto aveva giocato col figlio dell'autentico Giacomo, al caffè dov'era condotto, le domeniche di quel tempo antico, a prendere il gelato, ai passeggi suburbani che don Paolo prediligeva, alle chiese che frequentavano insieme, al Seminario dove, per desiderio dello stesso don Paolo, aveva più volte, con vere angoscie, subìto esami di latino e d'italiano, alle stanze dei giorni più felici, dei più dolorosi e dei più aridi, agli uffici del Municipio, alla sala delle adunanze consiliari, a villa Diedo.
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