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Nel villino si faceva musica. Jeanne si fermò al cancello, ascoltando. Era un pezzo per violino e piano. L'arco, impugnato da una mano potente, strappava dallo strumento, alternandole a un fine cinguettio di sussurri, apostrofi grandiose che parvero a Jeanne di tragico rimprovero e di scongiuro. Un attimo le bastò per pensare che la signora Cerri, se sapesse, le parlerebbe così e che se lei, Jeanne, avesse avuto la sorte di suggere col latte la fede religiosa e la rigidezza morale come la signora Cerri, non avrebbe meritato, nè sarebbe per meritare, un tale rimprovero. I bambini giuocavano in giardino, la videro, corsero a lei battendo le mani, gridandole di entrare. Ah, entrare lì, in quel momento! Ella fe' loro cenno che tacessero e si allontanò con Piero mentre il violino riattaccava l'apostrofe ardente che parve adesso quel che forse immaginò l'autore del pezzo, il vecchio Tartini, un demoniaco, amaro grido di trionfo.
V
Quella sera gli ospiti dell'Hôtel Astore si ritirarono di buon'ora. Carlino era molto seccato della scomparsa di sua sorella con Piero dal Covile del Cinghiale, era seccato che fosse andata fino a Rio Freddo con la nebbia, senza mantello, senza uno scialle; era seccato che non avesse preso con lui, all'ora solita, il Kephir, il portentoso farmaco orientale che di lui doveva fare un Ercole e di lei una Giunone; era seccatissimo che Bassanelli avesse osato alludere con lui alle imprudenze di sua sorella. Bassanelli, venuto con la certezza di trovare Jeanne e di non trovare Maironi, era nero.
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