Don Giuseppe tacque. Piero piangeva.
Dio mio, don Giuseppe
diss'egli "non potrebbe Lei evitarle questa pena, dirle che io considero la sua parola come detta, come udita, dirle a nome mio tutto quello che la può consolare?"
Don Giuseppe gli pose una mano sulle ginocchia ed ebbe ancora, senza guardarlo, un lievissimo sorriso, un sospiro, una inarticolata voce sommessa di dubbio, una voce che Piero intese a questo modo: "Non è meglio, per qualche ragione da tacere, che parli proprio Lei?"
Si bussa all'uscio. Un'inserviente avverte ch'è giunto il professore chiamato per telegrafo da Bologna.
II
Era una lunga via dallo studio del Direttore al piccolo quartiere appartato dove la povera Elisa aveva così lungamente sofferto e ora stava morendo. C'erano scale da scendere e salire, lunghi corridoi da percorrere, cortili da attraversare. Vi passeggiavano persone tranquille di aspetto assai civile, molte delle quali salutarono rispettosamente don Giuseppe. Una di queste, un vecchio signore dall'aria distinta, riconobbe Maironi per essergli stato presentato una volta dal Direttore e lo fermò.
Come sta la Sua signora? Soffre tanto, eh, poverina. Già la fedeltà è femmina, non può essere mascolina. Qui ci dicono matti ma si sa tutto di tutti. C'è qualcuno che veramente non ha prudenza nel parlare. Bisogna compatire! Grazie a Dio, se sono stato anch'io così, adesso non lo sono più. Vedo che Lei è con lo Spirito Santo; dicano, dicano al signor Direttore come ragiono bene, e ch'è un delitto di tenermi ancora qui!
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