Si rizzò, quasi atterrito, a sedere sul canapè, chiedendosi dove fosse. Nel vano della finestra spalancata luceva un grande pianeta. Tese l'orecchio. Dalla camera dell'ammalata non il più lieve rumore; dalla finestra fievoli vocii confusi come di una moltitudine discorde. Andò ad ascoltare: grida, urla delle agitate, da una casa lontana. Ora si udivan forte, ora, col mutar dell'aria, venivano meno. La campagna scura, immensa, era silenziosa come il cielo. Nessun segno di vita. Piero aveva dormito mezz'ora. Gli venne languida in mente l'idea che le medesime stelle lucevano sui pascoli, sui boschi di Vena; e passò. Gl'infiniti occhi delle stelle parevano conoscere la domanda dell'inferma: "Hai perduta la religione?" e guardar tutti a lui tristamente. Cosa volevano da lui? Egli pure guardò fiso il pianeta, pensando, senza volontà, pensieri che avevano un ordine in sè ma gli venivano disordinati nella coscienza e misti ad impressioni dei sensi, come, insieme a qualche curioso, si affrettano confusi gli invitati di ogni grado al convegno d'un corteo predisposto in ogni sua parte, giusta norme fisse di precedenza.
Potevo dire: ho la religione della giustizia.' Dio, se a Vena fosse successa quella cosa! Che orrore, poi, esser baciato, esser abbracciato da te, povera creatura!
Che vile, che vile, che vile!'
In questo violento disprezzo di sè gli occulti pensieri gli salivano stridenti sulle labbra. Poi ridiscesero.
Che sarebbe successo di me? - Tutto sarebbe caduto. Che vile! - Niente niente niente; la religione della giustizia non mi ha difeso niente.
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Vena Dio Vena
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