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      Il sacramento è amministrato, il male precipita, l'inferma non parla più, la speranza terrena esce a capo chino dalle camere silenziose, le speranze celesti entrano solenni e soavi, annunciando col dito alle labbra un angelo vicino, spirando pace e mansueta riverenza persino alle cose. In ogni volto è una compostezza grave, nulla si domanda più ai medici, essi pure hanno in viso il rispetto del mistero; don Giuseppe legge, presso al letto, parole sante, non si ode altra voce, neppure si osa piangere. Di fronte alla morente, all'arcano che si compie su quel letto, alla solennità delle sante parole, solo grandeggia la madre. Hanno studiato di prepararla, le hanno detto vagamente il presentimento della figliuola, tacendo l'ora; ed ella, come se non volesse sapere o se già sapesse, neppure volse a chi le parlava i suoi grandi occhi neri sgomenti e severi, fissi nella divina Volontà. Ha risposto in piedi, piegata sulla spalliera di una seggiola, alle preghiere del rosario che don Giuseppe disse nel salottino. Nessuna parola le esce più di bocca, non si move ad atti di dolore mai. La prima volta nella sua vita siede per lente, interminabili ore allo stesso posto e i medici, l'infermiera la guardano di tratto in tratto come un'augusta cosa, evitando di passarle troppo vicino e nel passare piegano la fronte.
      L'inferma non parla più ma comprende ancora. Ha compreso dolcissime parole di letizia che don Giuseppe, subito dopo il sacramento, le ha dette all'orecchio; ha sorriso, ha cercato Piero con lo sguardo, lo ha visto ritto là, le povere labbra si agitarono a più riprese per parlare, non lo poterono; gli occhi allora dissero tutto, la gioia, la tenerezza, persino un umile ossequio; si alzarono al cielo; ridiscesero; ancora le povere labbra si mossero invano.


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Piccolo mondo moderno
di Antonio Fogazzaro
Ulrico Hoepli Milano
1909 pagine 344

   





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