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      Il che resta fuor di dubbio se si ponga mente a due fatti importantissimi, cioè alla lingua poetica, ed ai prosatori del Trecento e del Cinquecento. La nostra lingua poetica ha, quanto alla collocazione delle parole, una sintassi tutta particolare e distinta da quella della prosa, ed è capace delle più ardite e frequenti trasposizioni, tanto da avvicinarsi molto sotto questo aspetto al latino e al greco, e da non avere quasi altro limite che la necessità della chiarezza: privilegio che gli antichi hanno saputo appropriarsi, e i moderni più illustri mantenere gloriosamente. Alcuni prosatori poi dei secoli XIV e XVI, principalmente G. Boccaccio, discostarono assai la sintassi dall'uso del popolo per assomigliarla, quanto si poteva, a quella più frequentemente adoprata dalle lingue classiche, e preferirono più spesso la costruzione inversa a quella diretta, specialmente coll'anteporre l'oggetto o i complementi al predicato verbale. Ma il loro esempio non attecchì gran fatto, nè durò lungamente ad essere imitato; onde non si possono prendere per norma della sintassi da seguirsi più comunemente.
      Noi pertanto prenderemo regola anche in questo dall'uso generale dei parlatori e degli scrittori, senza omettere le eccezioni e senza trascurare, fra queste, le più notevoli singolarità dello scrivere poetico. Divideremo la materia in tre capitoli, discorrendo nel primo delle relazioni grammaticali che hanno fra loro le parti del discorso: trattando nel secondo degli elementi della proposizione: e nel terzo, della collocazione di più proposizioni, esplicite o implicite, in un medesimo gruppo.


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Sintassi italiana nell'uso moderno
di Raffaello Fornaciari
Sansoni Firenze Editore
1881 pagine 500

   





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