Ti farebbe allegrar, se tu sentissiLa millesima parte di mia gioia.
Così parlava; e gli occhi ave' al ciel fissiDevotamente: poi mise in silenzio
Quelle labbra rosate, insin ch'io dissi:
Silla, Mario, Neron, Caio e Mezenzio,
Fianchi, stomachi, febbri ardenti fannoParer la morte amara più ch'assenzio.
Negar, disse, non posso che l'affannoChe va innanzi al morir, non doglia forte,
Ma più la tema dell'eterno danno:
Ma pur che l'alma in Dio si riconforte,
. . . . . . . . . . . .
Che altro ch'un sospir breve è la morte?
E quand'io fui nel mio più bello stato,
Nell'età mia più verde, a te più cara,
Ch'a dir ed a pensar a molti ha dato;
Mi fu la vita poco men che amaraA rispetto di quella mansueta
E dolce morte, ch'a' mortali è rara:
Che 'n tutto quel mio passo er'io più lieta,
Che qual d'esilio al dolce albergo riede;
Se non che mi stringea sol di te pieta.
Deh, Madonna, diss'io, per quella fedeChe vi fu, credo, al tempo manifesta,
Or più nel volto di chi tutto vede,
Creovvi Amor pensier mai nella testaD'aver pietà del mio lungo martire,
Non lasciando vostr'alta impresa onesta?
. . . . . . . . . . . .
Appena ebb'io queste parole ditte,
Ch'i' vidi lampeggiar quel dolce risoCh'un Sol fu già di mie virtuti afflitte.
Poi disse sospirando: mai divisoDa te non fu 'l mio cor, nè giammai fia;
Ma temprai la tua fiamma col mio viso.
Perchè a salvar te e me null'altra viaEra alla nostra giovenetta fama:
Nè per ferza è però madre men pia.
Quante volte diss'io meco: Questi ama,
Anzi arde: or si convien ch'a ciò provveggia;
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