Rivedutala quattro mesi prima di morire, la inserì quale episodio in un poema morale, che intitolò Trionfi, - serie di allegoriche visioni sopra la forza dell'Amore, della Castità, della Morte, dell'Ingegno, della Fama, del Tempo e della Eternità. Parecchi poemi provenzali anteriori al Petrarca, e il Sogno, il Fiore e la Foglia, e la Casa della Fama del suo contemporaneo Chaucer, sono dello stesso genere.(33) Forse i modelli di queste poesie si possono rintracciare nelle visioni che i monaci predicavano, ad imitazione di quelle di Ezechiello e dell'Apocalisse di San Giovanni. L'ultimo canto de' Trionfi è intitolato: Della Divinità, e comincia
Da poi che sotto 'l ciel cosa non vidiStabile e ferma, tutto sbigottito
Mi volsi, e dissi: Guarda; in che ti fidi?
Risposi: Nel Signor.
E conchiude, dicendo di Laura:
Se fu beato chi la vide in terra,
Or che fia dunque a rivederla in cielo?
Egli stimava quest'opera una grande impresa, e la tralasciò temendo non gli bastasse la vita a finirla.(34) Nondimeno vi si applicò di nuovo: si accorse di aver fallito; ma pure perseverò, e lasciolla sì sfigurata dalle varie lezioni, che, per farne compiuta una copia dopo la sua morte, fu mestieri di supplir molto per congettura. In questo poema il genio del Petrarca, illanguidito più per la incresciosa vita che per la gravezza degli anni, non apparisce avvivato dal fuoco del suo cuore, se non dov'egli parla di Laura. Il poeta nota i suoi melanconici sentimenti su pe' margini del manoscritto: "Più considero ciò che sono, e più sento vergogna di quest'opera: non sono più io, è un altro che scrive.
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