S'una fede amorosa, un cor non finto,
Un languir dolce, un desiar cortese;
S'oneste voglie in gentil foco accese;
S'un lungo error in cieco laberinto;
Se nella fronte ogni penser dipinto,
Od in voci interrotte appena intese,
Or da paura, or da vergogna offese;
S'un pallor di viola e d'amor tinto;
S'aver altrui più caro che sè stesso;
Se lagrimar e sospirar mai sempre,
Pascendosi di duol, d'ira e d'affanno;
S'arder da lunge ed agghiacciar da presso,
Son le cagion ch'amando i' mi distempre;
Vostro, donna, il peccato, e mio fia 'l danno.
VI. In questa imitazione de' Trovatori il Petrarca inserì un verso tolto da' classici:
Et tinctus viola pallor amantium. Horat.
Pure con quanta dilicatezza e verità lo ha egli migliorato col modo felice - Pallore tinto di viola e d'amore! - Maria Stuarda, destinata dalla prima gioventù all'amore e alle afflizioni, tradusse lo stesso verso d'Orazio nella sua Monodia (conservata da Brantôme) in morte del suo giovane marito, Francesco Secondo:
Mon pâle visage de violet teint,
Qui est l'amoureux teint.
Sebbene il Petrarca ravvisasse ne' poeti latini i maestri suoi, per gran ventura giudicò nondimeno che non sarebbero potuti degnamente imitarsi nella lingua italiana: quindi tolse da essi parcamente; nè so ravvisare più di due o tre versi di Virgilio, di Ovidio e di Orazio, di cui, tentato piuttosto da inevitabile reminiscenza che da propostasi imitazione, accidentalmente e' si giovasse:
Agnovit longe gemitum prœsaga mali mens. Virg.
Mente mia, che presaga de' tuoi danni.
Elige cui dicas: tu mihi sola places.
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