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      Ma quando il Petrarca scaltriva l'Italia della sua rovina, non era troppo tardi per allontanarla. I suoi principi avevano appena cominciato a tirarsi in seno quali alleate quelle genti strane che vi rimasero da padroni.
     
      Voi cui fortuna ha posto in mano il frenoDelle belle contrade,
      Di che nulla pietà par che vi stringa,
      Che fan qui tante pellegrine spade?
      Perchè 'l verde terrenoDel barbarico sangue si dipinga?
      Vano error vi lusinga;
      Poco vedete, e parvi veder molto;
      Che 'n cor venale amor cercate o fede.
      Qual più gente possede,
      Colui è più da' suoi nemici avvolto.
      O diluvio raccoltoDi che deserti strani
      Per inondar i nostri dolci campi!
      Se dalle proprie maniQuesto n'avvien, or chi fia che ne scampi?
     
      VII. Il rammarico di non essere nato fra gli antichi fu cagione dell'incessante suo studio negli scrittori di que' tempi, "fermo com'egli era di vivere con essi, se non altrimenti, col pensiero, per istaccarsi più effettualmente dalla generazione contemporanea."(96) Parecchie delle sue lettere sono indiritte ad Omero, a Cicerone, a Varrone e ad altri uomini solennissimi dell'antichità, come se fossero ancor vivi;(97) ed ogni volta ch'egli scrive a Lodovico, a Francesco, o a Lello di Stefano, intrinseci suoi, o ne fa motto, non dimentica pur mai di chiamarli Socrate, Simonide, e Lelio. È probabile che per sè stesso avrebbe adottato il nome di qualche illustre antico, se alla cupidità dell'ammirazione del mondo non avesse congiunto il timore di venirne deriso. Però stette contento ad alterare il patronimico Pietro, pronunziato idiomaticamente Petracco e Petraccolo nel sonoro di Petrarcha.


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Saggi sopra il Petrarca
di Ugo Foscolo
Carabba Editore Lanciano
1928 pagine 139

   





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