Quando Cola di Rienzo sollevò il popolo di Roma, e prese il titolo di Niccola il Severo e il Clemente, il Tribuno di Libertà Pace e Giustizia, l'illustre Liberatore della Santa Romana Repubblica, e citò re a dar conto della condotta loro innanzi a suo tribunale, il Petrarca gli porse le sue lodi e i suoi consigli.(98) Pochi mesi dopo gli toccò la mortificazione di udire che il suo eroe, spenti alcuni nobili ed affamata la plebe, erasi fuggito di Roma come un codardo e un traditore. Capitò la novella al Petrarca mentr'era in cammino verso l'Italia; e nella lettera che scrisse in tale incontro, spicca l'affetto suo verso la patria maggiormente che la saviezza: "La lettera del Tribuno mi giunse come un fulmine. Da qualunque banda mi volti, veggo ragioni da disperare. - Roma fatta in brani - Italia devastata - che sarà di me in questa pubblica calamità? Dieno altri le ricchezze, il potere, i consigli loro; io per me non posso dare che lagrime."(99) Chi avvisa che i politici sentimenti dovrebbero rimanere soffocati dalla personale gratitudine, troverà più occasioni di condannare il Petrarca, nel quale, non appena poteva egli sperare di far Roma metropoli dell'universo, tutti gli affetti dell'anima erano assorti nell'entusiasmo di patria. Egli sostenne l'impresa di Cola di Rienzo e la difese a viso aperto, quantunque la parte di lui avesse morto un figliuolo ed un nipote di Stefano Colonna. "I Colonna " egli scrive, "mi sono più cari della vita; ma Roma mi è vie più cara."(100)
VIII. Ciò che è più fuori dell'usato e più difficile a spiegarsi nel carattere del Petrarca è quell'ascendente ch'egli ebbe sopra i grandi.
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