Assisa, o Dea, sorriderai securaSu le rovine, e allumerai tua face
A la funerea pira di Natura!
CAMPBELL, Piaceri della Speranza.
VI. Le immagini del Petrarca paiono squisitamente finite da pennello delicatissimo: allettano l'occhio più col colorito che con le forme. Quelle di Dante sono ardite e prominenti figure di un alto rilievo, che ti sembra di poter quasi toccare, a cui l'imaginazione supplisce prontamente quelle parti che si nascondono alla vista. Il pensiero comune della vanità dell'umana fama è così espresso dal Petrarca:
O ciechi, il tanto affaticar che giova?
Tutti tornate alla gran madre antica,
E 'l nome vostro appena si ritrova;
e da Dante
La vostra nominanza è color d'erbaChe viene e va, e quei la discolora,
Per cui ell'esce della terra acerba.
I tre versi del Petrarca hanno il gran merito di essere più animati, e di trasmettere più rapida l'immagine della terra che inghiotte i corpi e i nomi di tutti gli uomini; ma quelli di Dante, con tutta l'affliggente profondità loro, hanno il merito ancor più raro di guidarci a idee, cui non saremmo per noi stessi arrivati. Mentr'ei ci rammenta essere il tempo, che pure è necessario per recare al colmo ogni gloria umana, quello che finalmente la strugge, il cangiante colore dell'erba rappresenta i rivolgimenti de' secoli come caso naturale di pochi momenti. - Ma, per aver fatto menzione "dei grandi periodi del tempo," un vecchio poeta inglese menomò quello stesso concetto che intendeva di magnificare:
I know that all beneath the moon decays;
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