Pare che fortuna e natura cospirassero a separarli nel resto per una irreconciliabile discrepanza. Dante percorse più regolare carriera di studii, e in tempi che Aristotele e Tommaso d'Aquino tenevano soli il campo nelle università. L'austero metodo e le massime loro lo ammaestrarono a scrivere solo dopo lunga meditazione, - a tenersi davanti "un gran pratico fine, cioè quello dell'umana vita"(157) - e a proseguirlo saldamente con un preconcetto disegno. Poetici ornamenti paiono usati da Dante solo a lumeggiare i suoi soggetti; nè egli consente mai alla fantasia di trasgredire leggi, che previe siasi imposte:
lo 'ngegno affrenoPerchè non corra, che virtù nol guidi. - Inferno.
Non mi lascia più ir lo fren dell'arte. - Purgatorio.
Lo studio de' classici e il crescente entusiasmo per platoniche speculazioni, che il Petrarca propugnò contra gli aristotelici,(158) accordossi con la naturale inclinazione di lui, e ne informò la mente dalle opere di Cicerone, Seneca e Sant'Agostino. Ei ne colse la maniera saltuaria, la dizione ornata, allora pure che i temi meno poetici vennergli a mano; e sopra tutto imitò quel mischiar ch'essi fecero sentimenti individuali con universali principii di filosofia e di religione. La sua penna andò dietro alla perpetua irrequietudine dell'animo: ogni argomento attraeva i suoi pensieri, e di rado tutti i suoi pensieri furon devoti ad un solo argomento. Così, più ardente ad imprendere che perseverante a finire, il numero grande de' suoi non terminati manuscritti gli fece alla fine pensare, che tra il frutto d'industria e quello d'ozio assoluto fosse per correr poco divario.
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