Rechiamci col pensiero a' dì del Petrarca, e troveremo la Divina Commedia mancante ancora di quella fama universale, che è agli occupatissimi necessaria per determinarli a serie e lunghe letture, e tali da equivalere a uno studio, e sole bastanti a ben giudicarne. Quindi il non leggersi il poema di Dante non era allora tal cosa da farne ora stupore... Erane la fama nascente, gli esemplari non comuni, sicchè il Boccaccio, tra' primi a predicarlo e primo a spiegarlo da una cattedra, volendo indurre l'amico a leggerlo, dovette mandarglielo. Di qui quella fama cominciò a mettere le radici, ma passò lungo tempo prima che fosse ben radicata. Conchiudiamo, che l'attenzione del Petrarca volgevasi tutta alla ricerca di codici antichi, e molti infatti ne scoprì; ch'egli sovra tutti cercava poeti fatti sacri non solo dal lauro ma da' secoli: che sì fatta consecrazione a Dante, che l'ha oggidì, allora mancava; che il non leggerne le opere, oltre la ragione sovra esposta, il timore cioè di divenirne servile imitatore, non era lo scandalo che oggi pare o sarebbe; che quindi l'accusa d'invidia data al Petrarca manca di solido fondamento, ov'anche se ne allegasse la prova più forte e più pubblica, trasandata ne' Saggi; però che del suo dire e del suo tacere intorno a Dante si hanno motivi più veri e più onesti. [T.]
(110) Inter bonos amor communis patriæ potens valde est, sicut inter malos odium. Senil., lib. XV, ep. 6.
(111) De sua ips. et al. ignorantia.
(112) Famil., lib. XII, ep. 9.
(113) Non quod divitias non optarem, sed labores curasque oderam, opum comites inseparabiles.
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