E vi sono lunghi tratti di poemi, e pagine numerose di storie del secolo XIII nelle quali non s'incontra un unico vocabolo che gli scrittori viventi a' dì nostri non possano usare senza la minima taccia di affettazione. Gl'Inglesi e i Francesi che scrivevano a que' tempi, ed anco posteriormente, non sono intesi; nè le lingue antiche subirono minori variazioni. Il vocabolario d'Omero e de' tragici ateniesi e de' poeti de' Tolomei non sono gran fatto diversi; ma le diversità grammaticali e ortografiche son pur tali e tante, che costituiscono altrettanti differenti dialetti. La ragione universalmente adottata della divisione della Grecia in parecchi piccoli Stati, che serbarono la pronunzia peculiare a' loro antenati, e quindi ne vennero i varj loro dialetti, non fa molto al proposito, perchè i Romani non ebbero siffatte divisioni, e nondimeno la latinità di Ennio, di Lucilio e dei frammenti degli Annalisti della Repubblica è diversa molto da quella di Virgilio, d'Orazio e di Livio. Nè da Ennio a Virgilio corsero più di dugento cinquant'anni, mentre dall'età de' primi libri grammaticalmente scritti in Italia sino a' dì nostri se ne contano più di seicento, e, paragonati colla lingua scritta oggi, presentano il fenomeno di pochi e appena visibili cambiamenti essenziali. Se sì fatto fenomeno fu talvolta osservato, certamente non ne fu mai non che data, ma neppure tentata la soluzione. E noi ci proveremo in ciò tanto più volentieri, in quanto che avremo occasione di manifestare alcune idee forse nuove, desunte, a quanto speriamo, dalle nozioni generalmente adottate intorno alla lingua e alla letteratura d'Italia.
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