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      E da' gioghi d'Olimpo, acerbo in corePrecipitò agitando arco e faretra
      Tutta chiusa, e fremea pregna di dardiStrepitanti per gli omeri. Ei calava
      Simile a notte; e sovrastando al campoDisfrenò la saetta: uscia dal grande
      Arco raggiante un suono orrido all'aere.
     
      S'adira, precipita dal cielo, vola, minaccia, dinanzi a noi: vediamo agitarsi l'arco alle sue spalle; udiamo il doppio suono del cupo fremito ripetuto de' dardi dentro una faretra chiusa, e il suono della corda che divide l'aria con lo stridore di una vibrazione lunghissima; - e l'immagine del Dio standoci d'innanzi occupa l'anima nostra con l'oscurità di una notte improvvisa, e col terrore d'una imminente celeste vendetta.
      Ma questa è la descrizione d'un essere soprannaturale; nè io insisterò dicendo che Omero, per sublimare la sua e la nostra fantasia, ha dovuto elevarsi oltre natura; bensì dirò che quando descrive individui viventi che sentono e soffrono e parlano da uomini, egli nell'imitare la natura la esalta sempre con la sua immaginazione. Quando Achille dice al giovine che lo prega di non ucciderlo: «Muori, amico; non vedi tu? - Son giovine anch'io e bello e gagliardo, nato da un eroe e di madre immortale, e morte m'aspetta; a sera, all'alba o a mezzodì, m'aspetta. - Muori tu dunque», questa è infatti natura; - ma si consideri che queste parole ci colpiscono appunto molto più, perchè le fa pronunciare da un uomo dotato di tante qualità preeminenti, che non pareva destinato a morire. Sente egli stesso il terror della morte, ancorchè, nel presentarsi a combattere, il terrore ch'egli ispirava lo facesse parere a' nemici come s'ei venisse lampeggiando di fiamma:


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





Olimpo Dio Omero Achille