Ignea su l'elmoE dal volto e le membra e per lo scudo
Gli balenava una continua luce;
Sì dalla Dea sospinto ove più denseEran l'armi, apparia fiero di lampi:
Ardea, come se puro esce da' fontiDell'Oceàno, e racquistando i cieli
L'astro d'Autunno infiamma aureo la notte.(1)
Quando Dante fa raccontare al conte Ugolino com'ei, destandosi e udendo i suoi figliuoli dimandar del pane, si morse per dolore le mani, non fece che rappresentare la natura reale; ma quando i suoi figliuoli, credendo ch'egli volesse mangiare le sue proprie mani per fame, si alzano tutti e quattro ad un tempo, e gli fanno ad una voce l'offerta:
Padre, assai ci fia men dogliaSe tu mangi di noi; tu ne vestisti
Queste misere carni, e tu le spoglia,
questa non è natura reale; è natura esaltata, spinta quanto può andare, e che riesce terribile appunto perchè nessuno potea prevedere la disperata offerta di quegl'innocenti. Quando gli amici di Job siedono muti e non gli dicono parola perchè vedevano che il suo dolore non ammetteva consolazioni, la natura è fedelmente imitata; ma l'imitazione, benchè fedelissima, non avrebbe prodotto la metà dell'effetto, se non vi fosse aggiunta la circostanza ideale, facilissima ad immaginarsi, ma improbabilissima e quasi impossibile a succedere realmente, che gli amici di Job stavano seduti su la terra per sette giorni e sette notti, e senza mai dirgli parola. È vero che queste illustrazioni sono ricavate dai più sublimi libri di poesia che forse esistono, e che forse siano per esistere mai fra' mortali; ma se si consideri la poesia fin anche nelle commedie, v'è egli carattere comico che colpisca veracemente, se non è caricato?
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