- La prima opinione era stata pronunziata da Dante, e la seconda dal Petrarca; e l'autorità di testimonj sì competenti, e di sì grandi nomi accresceva l'accanimento de' due partiti.
Dante peraltro e Petrarca potevano errare anch'essi; nondimeno l'uno e l'altro avevano proposta la congettura la più ragionevole; e quando i letterati, specialmente italiani, non si compiacessero di tutte le occasioni per prolungare le loro battaglie e i loro trionfi di penna e di grida accademiche, e soprattutto di funeste e vilissime animosità provinciali, le due opinioni di Dante e Petrarca, benchè diverse, potevano, col ravvicinarle, condurre alla verità.
Il dialetto Siciliano e Provenzale, e il Catalano, e quel di Linguadoca, e quel di Toscana, e degli altri popoli d'Italia, e di molte parti dell'Europa meridionale, non derivarono l'uno dall'altro, nè prevalsero l'un dopo l'altro; ma erano tutti contemporanei, ed erano tutti nati quasi ad un tempo, e si modificarono l'uno per mezzo dell'altro al tempo del lungo dominio de' Romani in Europa. Allora ogni popolo si chiamava romano, ed ogni dialetto d'ogni provincia si chiamava romanzo, o lingua romanza. - I Greci stessi che, per la traslazione dell'impero in Costantinopoli e per i primi padri della Chiesa scismatica, scrissero in greco, conservando fra bene e male la loro lingua e la loro letteratura, adottarono nondimeno tante parole da' Romani, che la loro lingua fu allora, ed anch'oggi è nominata romeiki, e dagli Inglesi romaica. E chi analizzasse questa lingua romaica, vi troverebbe infinite parole della barbara latinità del medio evo; - come pure avviene nella lingua inglese, la quale, al dire d'autori che ne scrissero ex professo, e d'uomini dotti co' quali ne ho tenuto discorso, quantunque composta di molte lingue diverse, il maggior numero delle sue parole l'ha dal latino.
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