Pur la quistione sarebbe rivolta in congettura, se in questi ultimi anni un letterato italiano, che da pochi mesi non vive più, non avesse con somma industria e con eguale imparzialità raccolti ed esaminati quanti avanzi scritti rimanevano della lingua romanza anteriori al secolo di Dante. Egli, paragonandoli l'uno all'altro, riescì a convincere sè medesimo ed i suoi lettori che quegli scritti, benchè di diversi paesi d'Italia, e talvolta anche di diversi popoli d'Europa, quantunque differissero nella terminazione delle parole, e in alcune varietà di sintassi, erano nondimeno composti degli stessi vocaboli, e con la stessa legge grammaticale; cosicchè tutti possono con pochissime alterazioni essere letteralmente tradotti nella lingua italiana d'oggi.
Gli Italiani, e soprattutto i Fiorentini, conservarono più gran numero di voci latine, sì perchè continuavano ad abitare il paese dove la lingua latina era stata la lingua nazionale, e dove era la sede de' pontefici e della gerarchia ecclesiastica che continuavano a servirsi del latino, e a pronunziare i vocaboli della lingua romanza men corrotti che dagli altri Italiani; sì perchè la Toscana fu meno che altro paese d'Italia sotto il diretto governo de' conquistatori settentrionali, e gli organi de' suoi abitanti avvezzi a pronunziare le parole intere, lunghe e rotonde alla latina, erano stati preservati nella stessa abitudine, parte dalla bellezza del clima, e parte dal poco commercio co' popoli del nord.
Molte parole nondimeno delle lingue teutoniche restarono alla lingua letteraria italiana; e v'è un criterio sicuro per distinguerle.
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