Molti di questi manoscritti furono pubblicati, e sono davvero tesori di lingua, di composizione, e di storia. Leggendoli, il grammatico si maraviglia della correzione della sintassi nell'elocuzione; - il critico non sa come spiegare quella spontanea, secreta e tanto più potente arte ed ordine di stile; - e lo storico vi trova particolarità e date e riflessioni politiche che sarebbero sfuggite anche al genio d'Erodoto e di Tacito. A questo esercizio di facoltà naturali aggiungevasi il profitto che ritraevano dal tradurre gli scrittori latini, e quasi sempre in prosa - spesso non intendendoli perfettamente; ma le traduzioni de' classici serj, comunque siano fatte quanto alla fedeltà, servono mirabilmente a portare varietà, novità, abbondanza e nobiltà ad una lingua, soprattutto se la lingua è vivente e docilissima agli innesti. Tale è il carattere generale degli scrittori fiorentini, durante il secolo illustre per Dante, Petrarca e Boccaccio; nel qual tempo, per un fenomeno di cui io non ho mai udito, nè ho mai saputo trovare la spiegazione, in nessuno di quelli scrittori fiorentini, molti de' quali artigiani, e le opere de' quali si trovano tuttavia manoscritte a centinaia, non è una sola inesattezza grammaticale, mentre nelle rarissime lettere che Petrarca scriveva in fretta in italiano, alle volte non v'è grammatica.
Ma la lingua italiana non rimase in questo stato di prosperità più d'un secolo; poichè poco più di trenta anni dopo la morte del Boccaccio, non vi fu, per così dire, più nè scrittore, nè lingua.
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