Ma siffatta lingua rimansi poverissima, incerta e soggetta a rapidissime trasformazioni sino a tanto che non sia ripulita, arricchita e preservata dagli scrittori. La Francia meridionale e settentrionale, la Sicilia e l'Italia non lasciano travedere orma veruna di lingua nazionale per tutti quei secoli, ne' quali quel poco che si scriveva in quelle regioni era scritto barbaramente in latino. I loro mille dialetti popolari s'andavano alterando, e sempre più dividendo e intricando ad un tempo, finchè la poesia cominciò in ciascuna di quelle contrade, verso l'epoca delle Crociate, a giovarsi di tutti que' dialetti, ad evitare ogni frase troppo provinciale e plebea, a nobilitare ogni idiotismo, a ridurre i suoni diversi, con cui ogni parola era proferita e storpiata in diverse città, ad una sola pronunzia uniforme, e così, per mezzo della scrittura e della ortografia, renderla certa e intelligibile a tutti; e allora i dialetti in ciascuna contrada si riunirono sotto la penna degli scrittori a comporre le tre lingue nazionali chiamate nel duodecimo e decimoterzo secolo lingua d'oc, lingua d'oui e lingua del sì.
Strane, come pur certamente devono parere a' dì nostri siffatte denominazioni di queste tre lingue, giovano ad ogni modo ad accertare in che guisa derivarono tutte dalla latina, e come spesso le lingue derivate trovano nelle varie parole della madre lingua i significati necessarj che essa non poteva somministrare. I Romani, quegli imperiosi conquistatori del mondo, arbitrarj ed inesorabili nelle loro decisioni, assoluti e positivi nelle loro risposte, mancavano (chi il crederebbe?
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