) della particella affermativa. Avevano il no; ma non avevano vocabolo esclusivamente appropriato a dir sì. I loro storici, oratori e poeti, per più eleganza e più forza, esprimevano l'affermazione positiva con due negative. Ma da' loro comici e scrittori di dialoghi appare che nel discorso famigliare avevano ricorso ora al pronome hoc, ora ai verbi ajo ed est, or agli avverbj maxime, utique, ita, sic, imo, e siffatti; donde anco nel Vangelo di S. Matteo, a significare men vagamente il precetto «le vostre parole sieno schiette; dite sì o no», l'autore, o il traduttore fu costretto a scrivere: «Sit sermo vester: Est Est, Non Non.» Diciamo l'autore, perchè noi crediamo che il nuovo Testamento sia stato originalmente scritto in latino, e uno scrittore ci ha recentemente confermati in questa credenza con dottrine e argomenti, che, al nostro parere, non possono esser confutati. Nondimeno la questione di sua natura non ammette termini di conciliazione fra' disputanti; e noi non l'abbiamo toccata se non perchè giova a illustrare il nostro soggetto, e aggiungere prove al fatto singolarissimo della varietà della particella affermativa fra popoli, fra quali le religioni, le colonie e le leggi romane e parecchi secoli di dominio avevano introdotta e stabilita la stessa lingua.
L'hoc (questo) prevalse nel mezzodì della Francia, e fu pronunziato e scritto oc; e nella Francia settentrionale l'utique (di certo) forse dapprima accorciossi in uti, come in tutte le lingue avviene ad ogni parola che è perpetuamente usata nel discorso; - poscia per la stessa ragione in ui; - e perchè i Romani pronunziavano, com'oggi pur fanno gl'Italiani, la u come l'ou de Francesi, la parola finì ad essere scritta oui.
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