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      - Gl'Italiani rispondevano che la lingua del sì nelle sue derivazioni aveva meno corrotta la pronunzia e la grammatica del latino; - che aveva minor numero di parole e frasi derivate dalle lingue settentrionali; - e finalmente che da' versi de' Siciliani e degl'Italiani appariva che la lingua del sì era la più armoniosa e poetica fra le sue rivali.
      Or comunque sia, la nascente lingua del sì, nell'acquistar melodia dalla poesia siciliana, traeva vigore e precisione grammaticale dal latino ecclesiastico e curiale, che in Italia fu sempre men barbaro, e segnatamente nelle corti de' papi, dove stranieri concorrevano ad impararlo
     
      Me transtulit Anglia Romam
      Tanquam de terris ad cœlum; transtulit ad vosDe tenebris velut ad lucem.(10)
     
      Questo buon Inglese peraltro chiamava la Poesia col nome di Poetria, che in latino significò sempre Poetessa; e però la nuova Arte Poetica, ch'ei compose in versi, gli attirò meno discepoli dei precetti da lui scritti a preservare il vino; e fu sempre poi conosciuto sotto il nome di Gaufred de vino salvo. Ma i classici erano più intensi e imitati meno risibilmente anche fra le tenebre della barbarie dagl'Italiani. Un poema elegiaco latino, scritto verso la fine del secolo duodecimo da un autore toscano,(11) contiene, fra gli altri, questi versi:
     
      Sim licet agrestis, tenuique propagine natus,
      Non vacat omnimodâ nobilitate genus.
      Non præsigne genus, nec clarum nomen avorum,
      Sed probitas vera nobilitate viget.
     
      E altrove:
     
      Dum Zephirus flabat, multis sociabar amicis;
      Nunc omnes Aquilo, turbine flante, fugat.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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