Quando noi ci mettemmo per un bosco,
Che da nessun sentiero era segnato.
Non frondi verdi, ma di color fosco;
Non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;
Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Io sentia d'ogni parte tragger guai,
E non vedea persona che 'l facessePerch'io tutto smarrito m'arrestai.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Allor porsi la mano un poco avante,
E colsi un ramoscel da un gran pruno:
E 'l tronco suo gridò: perchè mi schiante?
Dacchè fatto fu poi di sangue bruno,
Rincominciò a gridar: perchè mi scerpi?
Non hai tu spirto di pietade alcuno?
Uomini fummo, ed or sem fatti sterpiBen dovrebb'esser la tua man più pia,
Se state fossimo anime di serpi.
Come d'un stizzo verde, ch'arso siaDall'un de' capi, che dall'altro geme,
E cigola per vento che va via;
Così di quella scheggia usciva insiemeParole e sangue; ond'io lasciai la cima
Cadere, e stetti come l'uom che teme.
E lo Spirito ripiglia a parlare:
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Io son colui che tenni ambo le chiaviDel cor di Federigo, e che le volsi,
Serrando e disserrando, sì soavi,
Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi:
Fede portai al glorïoso ufizio,
Tanto ch'io ne perdei le vene e' polsi.
La meretrice, che mai dall'ospizioDi Cesare non torse gli occhi putti,
Morte comune e delle corti vizio,
Infiammò contra me gli animi tutti;
E gl'infiammati infiammar sì Augusto,
Che i lieti onor tornaro in tristi lutti.
L'animo mio per disdegnoso gusto,
| |
Spirito Federigo Cesare Augusto
|