Il sommo merito di Dante consiste nell'avere osservato il processo delle altre lingue derivanti dalla latina, le loro passate, le loro attuali vicissitudini, e quelle della sua propria; e quindi d'avere saputo prevedere che la lingua italiana non avrebbe patito le fluttuazioni e le metamorfosi delle sue rivali. Vide che poteva migliorare o peggiorare, e che questo dipendeva in parte dagli scrittori, in parte da' principj su' quali si sarebbe stabilita; ma che, peggiorando o migliorando, pur nondimeno le sue apparenze si rimarrebbero sempre le stesse. - A questa conclusione egli giunse e l'adottò per certissima, perchè presentì che la lingua italiana non sarebbe stata mai parlata, e quindi avrebbe evitato tutti i mutamenti che accadono in ogni lingua soggetta alle pronunzie popolari, che insensibilmente vanno d'anno in anno alterando i suoni delle parole, sì che il dialetto d'un secolo è vario da quello dell'altro nella stessa città. Al contrario, se la lingua, non essendo parlata mai, continua ad essere scritta, tutte le sue forme esteriori agli occhi, e quindi alla pronunzia degli scrittori e de' lettori, si rimangono più costanti ne' segni dell'alfabeto, e tramandate di generazione in generazione, con pochissime alterazioni accidentali, alla più tarda posterità.
A queste conclusioni Dante arrivò or sono cinquecento e più anni; e chi considera che quanto ci predisse si verificò puntualmente d'allora in qua, potrà facilmente inferirne che l'anima di quell'individuo, quantunque ardente di passioni fortissime sino al furore, e agitata da una immaginazione atta ad architettare e popolare tre mondi ideali, possedeva ad un tempo il potere di lunga e perseverante meditazione sugli argomenti più astrusi.
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