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      I Francesi di Luigi XIV, e gl'Inglesi, al tempo ancor meno lontano della regina Anna e anche dopo, esiliarono tanto numero di parole, che oltre ad impoverire i loro idiomi, lasciarono gli antichi libri in dimenticanza. Trasfigurarono la loro ortografia in modo che scrivono in un alfabeto e pronunziano in un altro; ma a' Francesi basta d'abusare de' segni delle vocali e pronunziarli per via di dittonghi: bensì gli Inglesi abusano di vocali e di consonanti; anzi, a dir giusto, non hanno alfabeto. Tale è la sorte di tutte le lingue, che essendo insieme scritte e parlate devono presto o tardi accomodarsi all'impero mutabile sempre della pronunzia e dell'uso. - Al contrario la lingua italiana, per l'essenza sua di essere scritta e non parlata, essa e la sua ortografia patirono meno trasformazioni; ed ogni suo segno alfabetico scritto è pronunziato in un modo. Pochissime mutazioni qua e là nelle pagine delle prose di Dante basterebbero a far presumere ch'egli scriveva a' dì nostri. La lingua traversò tanti corsi di secoli e di vicissitudini morali e politiche della nazione, preservando quasi tutte le sue parole armoniose, evidenti ed energiche, ed i suoi modi eleganti, acquistandone sempre de' nuovi, e senza perdere mai gli antichi, e scrivendoli tutti con la medesima uniformità. Sì fatti vantaggi non potranno essere controbilanciati che da danni ignoti alla storia delle altre lingue; fra' quali il peggiore si è: che la lingua rimanendosi esclusivamente letteraria, la nazione in generale non ne ricavò molto profitto, nè ha mai potuto decidere sul merito degli scrittori o sulle loro dispute grammaticali.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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