Gli autori sono per lo più i soli lettori in simili argomenti, e certamente i soli giudici: onde non è meraviglia se le dispute stesse non cessarono mai, e se tutti scrivendo del come si dovrebbe scrivere, pochissimi scrivono di ciò che pur si dovrebbe.
Su ciò che Dante previde con occhio sicuro egli fondava pochi principj generali intorno alla legislazione grammaticale. Erano inerenti alla condizione e alla natura della lingua, onde operarono sempre e quando vennero applicati da parecchi scrittori, e quando vennero trascurati da altri, o negati ostinatamente da molti; ed operarono fin anche negli scritti di chi li negava. Bensì ogni altro de' sistemi posteriori apparve tanto più assurdo, quanto più si allontanava dal suo; e tutti insieme non solo impedirono, ma fecero retrocedere la lingua ne' suoi progressi. Non però le hanno potuto far mai rimutare indole nè apparenze; ed oggimai l'esperienza ha convinto la più gran parte degl'Italiani, che la loro lingua letteraria non può prosperare senza l'applicazione dei principj di Dante. - E sono: - Che l'uso, il quale è l'arbitrio d'ogni lingua, deve applicarsi anche alla lingua letteraria; ma che non essendo parlata, l'uso non può risiedere negli abitatori d'alcuna città nè provincia d'Italia, bensì nel popolo degli scrittori di tutta l'Italia: - Che i miglioramenti e i deterioramenti della lingua dipenderanno sempre dal più o meno d'ingegno o di studio, e soprattutto di liberale e nobile educazione di ciascuno scrittore: - Che nelle università e nelle corti de' principi, dove la dottrina de' libri, la generosità della vita e l'eleganza de' costumi e quindi delle idee prevalgono, la lingua si arricchisce, si nobilita, e si raffina.
| |
Dante Italiani Dante Italia Italia
|