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      Perciocchè molti nuovi idiotismi de' varj dialetti portati nelle università e nelle corti dal concorso d'uomini ben nati d'ogni provincia si vanno immedesimando in una sola lingua chiamata da Dante nobile, o cortigiana: - Che questa lingua essendo così composta del fiore di tutti i dialetti, e intelligibile a quanti sono educati a formarla e scriverla, non può possibilmente parlarsi da tutta una nazione divisa e suddivisa in popoli e municipi con dialetti diversi; bensì può essere scritta ed intesa da tutti: - Che la tempra diversa delle facoltà intellettuali degli uomini d'ingegno avrebbe naturalmente innestato nella lingua nuovi modi, nuove frasi, nuovi spiriti, e sempre con arte diversa; e quindi ne sarebbero risultati diversi stili tutti formati dalla materia dipendente dalle medesime leggi: - Che la fama e l'esempio de' pochi grandi scrittori, i quali avrebbero necessariamente predominato nel loro secolo, avrebbero fatto come da moderatori a' capricci e alla licenza e agli usi introdotti dal popolo degli autori. - Finalmente dichiara come regola generale, che ogni dialetto d'ogni città d'Italia, fuori della Toscana, e nemmeno quello di Firenze, quantunque paragonandoli fra di loro l'uno sembri men cattivo dell'altro, sono tutti ad un modo assolutamente incapaci a lasciarsi mai ridurre a lingua scritta, in guisa che possa divenire universale alla nazione; ma che gli scrittori dovevano scegliere continuamente da' varj dialetti ciò che poteva adattarsi alla lingua letteraria, e far sì che, essendo formata di tutti, non mostrasse alcun indizio d'appartenere particolarmente a veruno.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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