Fra quante opere abbiamo del Boccaccio, la più luminosa di stile e di pensieri a noi pare la Vita di Dante: e la sua lunga Lettera a Pino de' Rossi a confortarlo nell'esilio è caldissima d'eloquenza signorile; onde i vocaboli corrono meno lenti e più gravi d'idee che nelle Novelle. Le tante macchie di lingua scoperte dagli Accademici in que' due volumetti(33), sono invisibili a noi, colpa forse del non saperle discernere. Forse anche que' volumetti dispiacquero perchè pajono in lingua piuttosto italiana che fiorentina; e sono meno ricchi di parole non necessarie, più rigorosi nella sintassi, e meno vezzosi di quelle grazie, le quali, per essere più dell'autore che della lingua, non furono imitate mai che non paressero smancerie. Loderemo dunque ogni superfluità di parole in quanto il Decamerone somministra maggior numero d'osservazioni grammaticali; e tanto più quanto la qualità diversa di cento novelle, e la varietà degli umani caratteri che vi sono descritti porsero occasioni all'autore di applicare ogni colore e ogni studio alla lingua, e farla parlare a principi e a matrone e a furfanti e a fantesche e a tonsurati ed a vergini, ed a chi no? onde in questo il Boccaccio è scrittore unico forse.
A critici suoi devoti pur nondimeno pare che il Boccaccio sia narratore più nobile di qualunque degli scrittori antichi; e più potente di Cicerone e di Demostene nelle dicerie de' suoi personaggi; e più tragico d'Eschilo e d'ogni tragico nella rappresentazione di forti anime lottanti contro a passioni e sciagure; e più arguto di Luciano a deridere.
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