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      Il sommo, vero merito del Boccaccio sta nell'aver fatto uso del dialetto fiorentino meglio di qualunque altro scrittore, in guisa da convertirlo in lingua letteraria; e diede agli scrittori in prosa un grande esempio che non seguitarono, ed è: - Che tutte le lingue, e l'italiana più ch'altre, s'arrendono ad ogni trasformazione a chiunque può e sa far obbedire la lingua al genio. Ma ogni uomo ha genio diverso; e chiunque s'è fatto schiavo all'altrui, come molti a quel del Boccaccio, ha rinunziato alle forze sue proprie, e non può far molto uso delle accattate. Che se il Boccaccio avesse fatto prova men ambiziosa d'ingegno, i retori non avrebbero poscia usurpato il suo libro a mortificare alla lingua una facoltà nata seco, e di cui trecent'anni di inerzia, d'usi forestieri e di servitù l'avrebbero al tutto spogliata, se non fosse facoltà ingenita; ed è una ardente, diritta, evidente velocità, - vivissima nelle novelle composte forse un secolo innanzi al Decamerone. Il modo di scriverle fu agevolato dal mestiere di raccontarle, e dal costume d'udirle nelle corti de' signori d'Italia; e ne trascriveremo una brevissima:
      «La Damigella tanto amò Lancialotto ch'ella venne alla morte, e comandò, che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fosse arredata una piccola navicella, coperta d'un vermiglio sciamito con un ricco letto ivi entro, con ricche e nobili coverture di seta, ornato di ricche pietre preziose; e fosse il suo corpo messo in su questo letto, vestito de' suoi più nobili vestimenti, e con bella corona in capo ricca di molto oro, e di molte ricche pietre preziose, e con ricca cintura, e borsa.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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