Onde dinanzi a me furono di mia gente l'un presso all'altro, ciascuno maliscalco, sei; ed io fui il settimo.(40) - Bensì la ortografia di questo e d'ogni altro documento di quell'età, se non è ridotta all'uso moderno, palesa che il dialetto de' Fiorentini, benchè evidente nella sintassi e nella proprietà de' significati, era perplesso ne' suoni, e mutabile ne' segni delle idee consegnate alla scrittura. Scrivevano casa, chasa, ricordo, richordo, figliuolo, fighiuolo, figiolo, maniscalco, manescalco. La grammatica dalla quale il buon maliscalco fu disviato era la latina; e gli atti pubblici continuarono ad essere tutti scritti in quel gergo barbaro per due secoli e più.(41)
Il secreto del Boccaccio fu d'immedesimare lo spirito e la materia del dialetto volgare con tanta felicità da farne uscire una terza lingua. Il suo stile sarebbe stato schiettissimo d'affettazione, se, per procacciargli più dignità, non avesse usato un po' troppo della trasposizione ciceroniana, e se fosse stato più parco di parole, le quali non servono che alla rotondità di periodi sonanti. Parecchi versi tolti dal poema di Dante e innestati nel Decamerone furono osservati da molti; ma chi guardasse più addentro s'avvedrebbe che il Boccaccio armonizzava la sua prosa, ajutandosi della prosodia de' poeti latini. Li traduceva talora letteralmente e, mentre la loro misura suonavagli tuttavia intorno all'orecchio, inserivali nel suo libro. Di che giovi indicare uno squarcio bastantemente lungo nel Proemio, e sarà guida a' dilettanti di sì fatte scoperte a trovarne molte altre da sè. «Le donne sono molto men forti che gli uomini, a sostenere.
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