Ben ei l'imparò da bambino da' suoi parenti ch'erano di Firenze. Ma egli nacque in esilio. E mentre cominciava a pronunziar le parole, andò pellegrinando co' suoi parenti che si domiciliarono in Francia; e però egli udiva e imparava tanti altri dialetti sino da quell'età, in cui l'orecchio e gli organi della pronunzia e la memoria raccolgono per forza di natura tutti i suoni e significati e inflessioni di voce; e non li perdono più. Nè poi da fanciullo fece suo studio che del latino; si rimase orfano giovinetto, e non udì più idioma di padre o di madre; e per grandissimo spazio della lunga sua vita dimorava or in città e in corte di papi francesi, or nella campagna d'Avignone fra contadini, or in casa de' Colonnesi, i quali, se parlavano alcun dialetto italiano, dovea essere il romanesco. Viaggiò stando a lunga dimora in più luoghi, fuorchè in Firenze. Ne fra' suoi famigliari, amanuensi ed amici domestici fu mai, che io sappia, un unico fiorentino; e co' letterati di Firenze carteggiò sempre in lingua latina. Come egli dalle reminiscenze del dialetto materno e da quanti n'udì, e da rimatori provenzali, siciliani e italiani stillasse, per così dire, una quintessenza di lingua poetica, è uno di que' misteri che si sogliono attribuire al genio, o in parole più chiare, all'organica costituzione de' poteri intellettuali dell'individuo. Così Mozart fu grande nella musica dalla sua fanciullezza, e così Pascal fu matematico prima dell'adolescenza e senza maestro veruno. Al genio del Petrarca al contrario bisognava lunghissimo tempo, cure infinite, pazienza incredibile a perfezionare la lingua delle sue poesie amorose.
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