Bensì negli ultimi venticinque anni del secolo decimottavo fiorirono poeti in Italia che ristorarono la lingua alla sua naturale dignità, e la poesia all'antica sua gloria. L'avevano perduta sotto le accademie e le scuole fratesche, da che la tirannide spagnuola, che predominò fin anche con la sua letteratura in Italia, e il contagio delle sottigliezze, de' concetti e degli arzigogoli metafisici si diffuse fino al settentrione, e guastò le composizioni de' poeti inglesi dall'epoca de' tre Stuardi. Ad ogni modo, i nomi, le opere e i meriti, fin anche il personale carattere de' moderni scrittori più celebrati in Italia e più vicini a' nostri giorni, sono sufficientemente conosciuti in Inghilterra per le narrazioni di viaggiatori viventi, e per le osservazioni giornaliere di moltissimi critici ne' giornali periodici. Onde a noi appena resterebbe da spigolare alcuna notizia che non sia già stata scritta, illustrata e ripetuta giornalmente fino a questo momento. Così, essendo omessi da noi i due secoli men importanti per sè stessi, e già conosciuti in ciò che meritano d'esserlo, le nostre epoche di quattordici si ridurrebbero a dieci. Ma per diminuire quanto è in nostro potere anche questo numero, abbiamo condensato la materia in guisa che i Discorsi non oltrepassino sei. Però questa quinta epoca, invece de' cinquant'anni assegnati a ciascuna delle precedenti, percorrerà tutto l'intervallo di tempo dalla morte del Petrarca e del Boccaccio, e arriverà non molto lontana dall'era letteraria di Leone X. Quindi nel Discorso che seguirà immediatamente, e sarà l'ultimo, saranno osservate, e crediamo per la prima volta, le guise con le quali la politica servitù si maturò, accompagnata dalla servitù della letteratura in Italia.
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