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      Ma, a ridurre tutte le loro ragioni sotto un'osservazione generale, concluderemo: che il metro e le lunghe e le brevi degli antichi, e tutte le loro leggi, erano dipendenti assolutamente dalla pronunzia, la quale nè poeta veruno potrebbe insegnare a' popoli, nè potere umano potrebbe costringerli ad adottarla. La ricevevano dalla natura co' loro organi dell'orecchio e della voce, la stabilivano con perpetua abitudine; e quindi si derivarono le leggi per forze secretissime, naturali ed inevitabili: però le lunghe e le brevi erano conosciutissime per la misura inerente nella pronunzia popolare. Ma il volere oggi trovare come pronunziassero gl'Ionii, gli Attici e gli Eolii è pazzia; dotta, innocente e gaia, - ma è pazzia. Fors'anche la nostra ostinazione a contradire gli uomini dotti non è impresa troppo savia. Adunque, lasciando che ognuno si goda la sua Elena, a noi pare partito migliore di adattare alla meglio la nostra pronunzia del greco alle leggi conosciute del metro, in guisa da non alterare e traslocare e trasformare le parole e l'alfabeto ne' testi. Ma nel tempo stesso sentiamo la tristissima convinzione che, in qualunque modo leggeremo il greco, noi lo guasteremo a ogni modo co' nostri organi nati ed educati a' suoni delle nostre lingue moderne, le quali tutte, senza eccettuarne l'italiana, a chi le paragona all'armonia della lingua greca, sembreranno chitarre che vogliono gareggiare con un gravicembalo.
      Per altro, dall'esempio d'alcune lingue moderne non è difficile il congetturare, e ciò senza troppa erudizione, che anche la greca deve essere soggiaciuta a molte alterazioni di pronunzia; e che molte delle sue lettere scritte da principio, perchè erano pronunziate, continuarono poscia a scriversi e a non pronunziarsi.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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