Ma Lorenzo de' Medici, e tutti gli amici suoi, e il genio del Poliziano erano pur nondimeno costretti a secondare gl'impulsi imperiosi del loro secolo; e l'introduzione della stampa, anzichè giovare, nocque più ch'altri non crede a' progressi della lingua italiana. L'avidità colla quale erano stati fino allora ricercati i codici de' Greci e de' Romani, fu superata dalla impazienza di moltiplicarli ad un tratto. Cominciò quindi il freddo, interminabile ed ambiziosissimo studio dell'emendazione critica de' testi e de' commenti agli antichi scrittori, e continuano; nè finiranno mai, finchè l'Europa avrà professori chiamati filologi, gente oziosa insieme e inquietissima, e che sarebbe oggimai condannata dal genere umano alla derisione ch'ella pur merita, se non avesse avuto la precauzione di scrivere tutti que' suoi nienti in latino. La caduta dell'Impero d'Oriente ridusse alcuni letterati greci in Italia; e vi portarono molte opere antiche, che desideravano anch'esse l'ajuto della tipografia e della critica. L'Iliade fu allora stampata per la prima volta in Firenze; e chi mai avrebbe in quegli anni potuto pensare ad altro che ad Omero ed ai Greci?
La lingua italiana cadde allora in tanto disprezzo, da rendere spregevole chi la scriveva; e gli autori susseguenti, e che a' tempi di Lorenzo de' Medici erano ancora fanciulli, ricordano, che il primo e più severo comandamento de' padri a' figliuoli e de' maestri a' discepoli era, che nè per male nè per bene leggessero mai cosa alcuna scritta in volgare, - così allora chiamavasi l'italiano.
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