Ognuno sa come Pietro Bembo veneziano fu primo a ridurre la lingua a regole; ma pił che le regole giovarono d'allora in poi a ripulirla le opere di molti scrittori per tutta Italia. Ma quantunque ei pronunziasse che l'essere nato fiorentino, a ben volere fiorentino scrivere non fosse di molto vantaggio, nč alcuno s'opponesse per anche a viso aperto alle sue parole tenute tuttavia per oracoli, tutti ad ogni modo se ne giovavano come d'oracoli, e le contorcevano a favorire le loro opinioni. Perņ i Fiorentini contesero, che, stando letteralmente alla sentenza del cardinal Bembo, s'aveva da scriver fiorentino; dal che veniva la direttissima conseguenza che l'Italia aveva dialetti molti parlati, ed uno solo atto ad essere scritto; e non possedeva in comune lingua veruna. Insorse d'allora in poi, crebbe ed inferocģ la tristissima lite - se la lingua letteraria s'avesse a chiamare italiana, toscana, o fiorentina. Frattanto il Bembo, senza inframmettersi nella contesa ch'egli inavvedutamente aveva attizzata, favoriva i Fiorentini; anzi escluse le opere tutte di Dante dal privilegio di somministrare esempj a' grammatici. Forse il Bembo, educato e promosso alle ecclesiastiche dignitą, prese pretesto dalla lingua, ch'ei chiamava rozza, di Dante, affine di condannarlo dell'avere virilmente negata ai papi ogni potestą temporale. L'imitare l'effemminata poesia e l'amore platonico del Petrarca era velo alle passioni sensuali; e, purchč fossero adonestate, non pareva illecito. Nč, a dirne il vero, sappiamo che il mondo siasi mai governato altrimenti.
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