Ma e le storie e i poemi di quell'età, ch'oggi s'hanno per depositarj di lingua, erano allora tenuti presso che barbari e indegni di essere nominati con «le cento immortalate novelle.» Anche il Berni e l'Ariosto erano allora più ricercati da' lettori, che stimati da' critici; e il Poliziano, come scrittore italiano, non era citato che raramente, e piuttosto con biasimo che con lode.
Vero è che non prima sì fatte leggi cominciano a moltiplicarsi ed acquistare autorità potentissima, bastano a darti indizio che un popolo dallo stato libero passa sotto il potere assoluto. La Grecia dopo Alessandro non ebbe più oratori nè storici; bensì famosi grammatici, alcuni de' quali regnarono nelle accademie de' Tolomei, a costringere alla nuova loro pronunzia i poemi d'Omero. Cesare trattò di grammatica: Augusto insegnavala a Mecenate ed a' suoi nipoti: Tiberio si dilettava di sottigliezze su la notomia de' vocaboli: Claudio scrisse intorno alle lettere dell'alfabeto; e anche a Plinio filosofo toccò di guerreggiare di penna col maestro del bel dire; e non pare ch'ei n'uscisse senza paura. Ma gli studj liberi in tali condizioni di tempi sono sì fatti; ed a' principi non rincrescono, perchè frappongono comandamenti infiniti e impraticabili in guisa, che niuno sappia mai come s'abbia da scrivere. La dominazione spagnuola in Italia, il lungo regno di Filippo II tirannissimo fra' tiranni, e il concilio di Trento avevano imposto silenzio in Italia anche all'eloquenza degli scrittori in latino.
La colpa apposta agli Italiani che, scrivendo una lingua morta, ritardarono i progressi della nuova è giustissima; ma non è giustamente applicata.
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