O Lauretta! io piansi con te sulla bara del tuo povero amante, e mi ricordo che la mia compassione disacerbava l'amarezza del tuo dolore. T'abbandonavi sovra il mio seno, e i tuoi biondi capelli mi coprivano il volto, e il tuo pianto bagnava le mie guance; poi col tuo fazzoletto mi rasciugavi, e rasciugavi le tue lagrime che tornavano a sgorgarti dagli occhi e scorrerti sulle labbra. – Abbandonata da tutti! – ma io no; non ti ho abbandonata mai.
Quando tu erravi fuor di te stessa per le romite spiagge del mare, io seguiva furtivamente i tuoi passi per poterti salvare dalla disperazione del tuo dolore. Poi ti chiamava a nome, e tu mi stendevi la mano, e sedevi al mio fianco. Saliva in cielo la Luna, e tu guardandola cantavi pietosamente – taluno avrebbe osato deriderti: ma il Consolatore de' disgraziati che guarda con un occhio stesso e la pazzia e la saviezza degli uomini, e che compiange e i loro delitti e le loro virtù – udiva forse le tue meste voci, e ti spirava qualche conforto: le preci del mio cuore t'accompagnavano: e a Dio sono accetti i voti e i sacrificj delle anime addolorate. – I flutti gemeano con flebile fiotto, e i venti che gl'increspavano gli spingeano a lambir quasi la riva dove noi stavamo seduti. E tu alzandoti appoggiata al mio braccio t'indirizzavi a quel sasso ove parevati di vedere ancora il tuo Eugenio, e sentir la sua voce, e la sua mano, e i suoi baci. – Or che mi resta? esclamavi; la guerra mi allontana i fratelli, e la morte mi ha rapito il padre e l'amante; abbandonata da tutti!
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