In un bel mattino di Settembre saluta in mio nome il cielo, i laghi, le pianure, che si ricordano tutti della mia fanciullezza, e dove io per alcun tempo ho riposato dopo le ansietà della vita. Se passeggiando nelle notti serene i piedi ti conducessero verso i viali della parrocchia, io ti prego di salire sul monte de' pini che serba tante dolci e funeste mie rimembranze. Appiè del pendio, passata la macchia de' tigli che fanno l'aere sempre fresco e odorato, là dove que' rigagnoli adunano un pelaghetto, troverai il salice solitario sotto i cui rami piangenti io stava più ore prostrato parlando con le mie speranze. E come tu sarai giunto presso alla vetta, udrai forse un cuculo il quale parea che ogni sera mi chiamasse col lugubre suo metro, e soltanto lo interrompea quando accorgevasi del mio borbottare o del calpestio de' miei piedi. Il pino dove allora e' si stava nascosto, fa ombra a' rottami di una cappelletta ove anticamente si ardeva una lampada a un crocifisso: il turbine la sfracellò quella notte che lasciò fino ad oggi e mi lascierà finché avrò vita lo spirito atterrito di tenebre e di rimorso15; e quelle ruine mezzo sotterrate mi pareano nell'oscurità pietre sepolcrali, e più volte io mi pensava di erigere in quel luogo e fra quelle secrete ombre il mio avello. Ed ora? chi sa ov'io lascierò le mie ossa! – Consola tutti i contadini che ti chiederanno novelle di me. Già tempo mi si affollavano attorno, ed io li chiamava miei amici, e mi chiamavano benefattore. Io era il medico più accetto a' loro figliuoletti malati; io ascoltava amorevolmente le querele di que' meschini lavoratori, e componeva i loro dissidj; io filosofava con que' rozzi vecchj cadenti ingegnandomi di dileguare dalla lor fantasia i terrori della religione, e dipingendo i premj che il Cielo riserba all'uomo stanco della povertà e del sudore.
| |
Settembre Consola Cielo
|