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      Non mi glorio come tanti altri della servitù; né i miei tiranni si pasceranno del mio avvilimento. Serbino ad altri le loro ingiurie e i lor beneficj; e' vi son tanti che pur vi agognano! Io fuggirò il vituperio morendo ignoto. E quando io fossi costretto ad uscire dalla mia oscurità – anziché mostrarmi fortunato stromento della licenza o della tirannide, torrei d'essere vittima deplorata.
      Che se mi mancasse il pane e il fuoco, e questa che tu mi additi fosse l'unica sorgente di vita – cessi il cielo ch'io insulti alla necessità di tanti altri che non potrebbero imitarmi – davvero, Lorenzo, io me n'andrei alla patria di tutti, dove non vi sono né delatori, né conquistatori, né letterati di corte, né principi; dove le ricchezze non coronano il delitto; dove il misero non è giustiziato non per altro se non perché è misero; dove un dì o l'altro verranno tutti ad abitare con me e a rimescolarsi nella materia, sotterra.
      Aggrappandomi sul dirupo della vita, sieguo alle volte un lume ch'io scorgo da lontano e che non posso raggiungere mai. Anzi mi pare che s'io fossi con tutto il corpo dentro la fossa, e che rimanessi sopra terra solamente col capo, mi vedrei sempre quel lume sfolgorare sugli occhi. O Gloria! tu mi corri sempre dinanzi, e così mi lusinghi a un viaggio a cui le mie piante non reggono più. Ma dal giorno che tu più non sei la mia sola e prima passione, il tuo risplendente fantasma comincia a spegnersi e a barcollare – cade e si risolve in un mucchio d'ossa e di ceneri fra le quali io veggio sfavillar tratto tratto alcuni languidi raggi; ma ben presto io passerò camminando sopra il tuo scheletro, sorridendo della mia delusa ambizione.


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Ultime lettere di Jacopo Ortis
di Ugo Foscolo
pagine 175

   





Lorenzo Gloria