Che se nella vita è il dolore, in che più sperare? nel nulla; o in un'altra vita diversa sempre da questa. – Ho dunque deliberato; non odio disperatamente me stesso; non odio i viventi. Cerco da molto tempo la pace; e la ragione mi addita sempre la tomba. Quante volte sommerso nella meditazione delle mie sventure io cominciava a disperare di me! L'idea della morte dileguava la mia tristezza, ed io sorrideva per la speranza di non vivere più. – Sono tranquillo, tranquillo imperturbabilmente. Le illusioni sono svanite; i desiderj son morti: le speranze e i timori mi hanno lasciato libero l'intelletto. Non più mille fantasmi ora giocondi ora tristi confondono e traviano la mia immaginazione: non più vani argomenti adulano la mia ragione; tutto è calma. – Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita. La sola morte, a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace.”
Da Ravenna non mi scrisse; ma da quest'altro squarcio si vede ch'ei vi andò in quella settimana.
“Non temerariamente, ma con animo consigliato e sicuro. Quante tempeste pria che la Morte potesse parlare così pacatamente con me – ed io così pacato con lei!
Sull'urna tua, Padre Dante! Abbracciandola, mi sono prefisso ancor più nel mio consiglio. M'hai tu veduto? m'hai tu forse, Padre, ispirato tanta fortezza di senno e di cuore, mentr'io genuflusso, con la fronte appoggiata a' tuoi marmi, meditava e l'alto animo tuo, e il tuo amore, e l'ingrata tua patria, e l'esilio, e la povertà, e la tua mente divina? e mi sono scompagnato dall'ombra tua più deliberato e più lieto.
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