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Su l'albeggiar de' 13 Marzo smontò a' colli Euganei, e spedì a Venezia Michele, gittandosi, stivalato com'era, subitamente a dormire. Io mi stava appunto con la madre di Jacopo, quando essa, che prima di me si vide innanzi il ragazzo, chiese spaventata: E mio figlio? – La lettera di Alessandria non era per anco arrivata, e Jacopo prevenne anche quella di Rimino: noi ci pensavamo ch'ei si fosse già in Francia; perciò l'inaspettato ritorno del servo ci fu presentimento di fiere novelle. Ei narrava: Il padrone è in campagna; non può scrivere, perché abbiamo viaggiato tutta notte, dormiva quand'io montava a cavallo. Vengo per avvertire che noi ripartiremo; e credo, da quel che gli ho udito dire, per Roma; se ben mi ricordo, per Roma, e poi per Ancona, dove ci imbarcheremo: per altro il padrone sta bene; ed è quasi una settimana ch'io lo vedo più sollevato. Mi disse che prima di partire verrà a salutar la signora; e però ha mandato qui me ad avvisare; anzi verrà qui domani l'altro, e forse domani. Il servo pareva lieto, ma il suo dire confuso accrebbe le nostre sollecitudini; né si acquetaron se non il dì appresso, quando Jacopo scrisse, come ripartirebbe per l'Isole già Venete, e che temendo di non ritornare forse più, verrebbe a rivederci e a ricevere la benedizione di sua madre. – Questo biglietto andò smarrito.
Frattanto nel dì del suo arrivo a' colli Euganei, svegliatosi quattr'ore prima di sera, scese a passeggiare sino presso alla chiesa, tornò, si rivestì, e s'avviò a casa T***. Seppe da un famigliare come da sei giorni erano tutti venuti da Padova, e che a momenti sarebbero tornati dal passeggio.
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