Una sera dell'anno addietro aveva letto a Teresa la Storia di Lauretta; e Teresa mi disse poi, che quei pensieri scuciti, ch'ei m'inviò con la lettera de' 29 Aprile, non n'erano il cominciamento, ma bensì sparsi dentro quell'operetta ch'esso aveva finita, narrando per filo i casi di Lauretta e gli aveva scritti con istile men passionato. Non perdonò né a questi né a verun altro scritto. Leggeva pochissimi libri, pensava molto, dal bollente tumulto del mondo fuggiva a un tratto nella solitudine, e quindi scriveva per necessità di sfogarsi. Ma a me non resta se non un suo Plutarco zeppo di postille con varj quinterni frammessi ove sono alcuni discorsi, ed uno assai lungo su la morte di Nicia; ed un Tacito Bodoniano, con molti squarci, fra gli altri l'intero libro secondo degli annali e gran parte del secondo delle storie, da lui con sommo studio tradotti, e con carattere minutissimo pazientemente ricopiati ne' margini. I frammenti sovra scritti gli ho trascelti da' fogli stracciati ch'esso aveva, come di nessun conto, gittati sotto al suo tavolino; e a' quali ho probabilmente assegnato le date. – Ma il passo seguente, non so se suo o d'altri quanto alle idee, bensì di stile tutto suo, era stato da lui scritto in calce al libro delle Massime di Marco Aurelio, sotto la data 3 Marzo 1794 – e poi lo trovai ricopiato in calce all'esemplare del Tacito Bodoniano sotto la data 1 Gennaro 1797 – e presso a questa, la data 20 Marzo 1799, cinque dì innanzi ch'egli morisse – eccolo:
“Io non so né perché venni al mondo; né come; né cosa sia il mondo; né cosa io stesso mi sia.
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