Lo stesso avviene molte volte anche nella vita ordinaria. I camerieri, che servivano Schopenhauer nel suo solito ristorante, in un certo senso lo “conoscevano” in un periodo in cui egli, salvo che per questo fatto, non era noto né a Francoforte né fuori. Essi però non lo “conoscevano” nel senso in cui si intenderebbe oggi dicendo di “conoscere” Schopenhauer.
Durante i progressi dell'analisi non solo il paziente si fa coraggio, ma anche la sua malattia, la quale diventa abbastanza ardita da parlare più chiara di prima. Uscendo di metafora, succede che il paziente, che fino ad ora torceva terrorizzato lo sguardo dalle proprie produzioni patologiche, comincia ad osservarle e ottiene una rappresentazione di esse più chiara e ricca di particolari.
Sarebbe una cosa quanto mai auspicabile che filosofi e psicologi, che architettano brillanti teorie sull'Inconscio basate su una conoscenza per sentito dire o sulle proprie opinioni personali, accettassero prima le convincenti impressioni che possono ottenersi da uno studio diretto dei fenomeni del pensiero ossessivo. Potremmo quasi arrivare a pretenderlo se l'impresa non fosse tanto più faticosa dei metodi di lavoro cui sono abituati.
La predilezione dei nevrotici ossessivi per l'incertezza e il dubbio li porta a rivolgere i propri pensieri di preferenza verso quegli argomenti sui quali tutta l'umanità è incerta e sui quali la nostra conoscenza e i nostri giudizi lasciano di necessità scoperto il fianco al dubbio. Gli argomenti principali di questo tipo sono la paternità, la durata della vita, dopo la morte, e la memoria, nella quale ultima siamo tutti abituati a credere, pur non avendo la più piccola garanzia della sua attendibilità.
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