Nella vita non c'è nulla di più costoso della malattia... e della stupidità.
Vi sono dei malati che fin dalle primissime ore di cura preparano minuziosamente quello che dovranno comunicare, evidentemente per assicurarsi di fare il miglior uso del tempo dedicato al trattamento. È la resistenza che, in questo modo, si camuffa da zelo. Qualsiasi preparazione del genere è da sconsigliarsi perché serve solo a impedire l'affiorare di pensieri non graditi.
Le persone che più facilmente tendono a nascondere le idee che vengono loro in mente in apertura di analisi, sono donne che, in seguito ad eventi passati della loro vita, sono pronte a difendersi da attacchi sessuali, e uomini con una fortissima omosessualità rimossa.
Si deve stare attenti a non dare al paziente la soluzione di un sintomo o l'interpretazione di un desiderio finché egli non sia tanto vicino ad essa che con un solo passo in più arriverebbe alla spiegazione da solo.
La principale forza motrice della terapia è la sofferenza del paziente con il desiderio, che ne scaturisce, di guarire.
Gli individui giovani e a carattere infantile tendono a trasformare l'imperativo, imposto dal trattamento, di concentrare l'attenzione sulla malattia, in un gradito pretesto per gozzovigliare con i propri sintomi.
Il miglior modo di proteggere il paziente dai danni che potrebbero derivargli dall'assecondare uno dei suoi impulsi, sta nel fargli promettere di non prendere alcuna decisione importante che possa influire sulla sua vita (come, per esempio, scegliere una professione o un oggetto d'amore definitivo), mentre la cura è in atto, rimandando invece ogni decisione a dopo la guarigione.
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