È troppo triste rendersi conto che la vita assomiglia al gioco degli scacchi, in cui basta una mossa falsa a farci perdere la partita, con l'aggravante che, nella vita, non possiamo nemmeno contare su di una possibilità di rivincita.
I filosofi pretendono che l'enigma intellettuale rappresentato per l'uomo primitivo dalla morte si sia imposto alla sua riflessione e debba essere considerato come il punto di partenza per ogni speculazione. Mi sembra che, su questo punto, i filosofi ragionino troppo... da filosofi e non tengano conto dell'azione dei movimenti primitivi. Perciò io penso di dover attenuare la portata di questa proposizione e di correggerla dicendo che l'uomo primitivo trionfa sul cadavere del nemico ucciso senza doversi spezzare la testa sugli enigmi della vita e della morte. L'uomo primitivo non fu spinto a riflettere né dall'enigma intellettuale né dalla morte in generale, ma dal conflitto affettivo che, per la prima volta, sorse nella sua anima alla vista della morte di una persona amata e, tuttavia, estranea ed odiata. La psicologia è nata da questo conflitto.
Non c'è bisogno di proibire ciò che nessuno desidera. Proprio il modo in cui è formulata la proibizione non uccidere può darci la certezza che noi discendiamo da una serie infinitamente lunga di generazioni di assassini che, come forse anche noi oggi, avevano nel sangue la passione per l'omicidio. Le tendenze morali dell'umanità, la cui forza ed importanza sarebbe assurdo contestare, sono un'acquisizione nella storia umana e costituiscono, ad un livello disgraziatamente molto variabile, il patrimonio ereditario degli uomini dei nostri giorni.
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