Di quella Gloria [xi] favello, ch'è frutto delle buone Opere; ond'è ch'io non diffido per haver fatta quest'Opera buona di haverne dalla Bontà Divina quel premio in Cielo, che non mi può dar una terra, la quale non mi germina sol che triboli, e spine.
Vanti non sono questi vani, e ventosi, ma rimostranze ingenue della mia nativa schiettezza, mentre non presumo di lodarmi, bensì mi glorio di abbattermi con una seria protesta a confessarmi col dovuto riconoscimento assistito dalla mano di Dio, la quale ha guidata la mia penna nella formatione di questi Caratteri, con l'essemplare dinanzi agli occhi così perfetto del mio Santo: appunto come suol fare il Maestro per insegnar a ben iscrivere al Fanciullino; e Fanciullino posso dirm'Io, perché singolarmente nelle cose dello Spirito, per la mia non dirozzata imperfettione, puer sum, & nescio loqui.
Io soglio dire per attesto della mia debolezza, & a più di un grand'Huomo, che mi ha sommamente esaltata la struttura di questo Libro, ch'ella non è mia certo, ma del mio gran FRANCESCO, il quale sopra una pietra così scabra, e cotanto humile, ha voluto innalzar la Colonna de' Fasti suoi Gloriosi. Ho sensibilmente provata l'assistenza prodigiosa della sua destra, la quale se quaggiù arrestò nell'aria librate le rupi, di lassù si compiacque di sollevar un sasso così pesante come il mio intelletto, e di sostenerlo così sublime fuori del basso suo centro. Con chimica miracolosa egli ha convertito il mio piombo in [xii] oro; e fissando il mio Mercurio, per esser FRANCESCO polve pretiosa de' veri Sapienti, che tale il rese la sua sovrana Humiltà, l'ha cangiato in Sole.
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