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      Scherza fra quelle vampe di fuoco, come se fossero fiati di Zeffiro: calca que' Tizzi accesi, come se fossero Rose purpuree: e n'esce illibato ad abbagliar Chi lo mira attonito prorompere a guisa di Sole, che sorga dall'infiammato Orizzonte.
      Apprende la Fornace medesima a non divorare gli Agnelli, poiché non ha potuto divorare FRANCESCO; Che perciò vivo gli restituisce quello, la cui polpe dente villando, la cui ossa fiamma vorace, meno però della Gola ingorda, havevano tranghiottite. Egli lo chiama con accenti pietosi, e l'ode tantosto rispondere con belati giulivi, mentre se n'esce da quell'Incendio, come il Monton di Frisso col Vello d'Oro. Ma non istupisca il Lettore, perché a FRANCESCO, che havea di già l'Innocenza risuscitata, fu ben anche più facile a farne rinascere il Simbolo in un Agnello risorto.
      Ad un altro pure restituisce l'aura vitale, che morto sulla groppa di una Giumenta se ne portava legato un Incredulo brontolante, convinto con questo nuovo stupore del successo del primo Miracolo fra quelle Genti diffuso. Hor, che ne pensi, o Divoto? Non mostra forse pateticamente FRANCESCO di essere Pastor buono, mentre non iscortica gli Agni, ma gli ravviva?
      [76] Innumerabili furo i Prodigi da lui operati nel Fuoco, calcandolo come se fossero piume le Vampe, e gigli i Carboni col piede ignudo. Più fiate l'estinse col fiato, l'ammorzò colle piante, colle palme lo strinse senza lesione: Verificando in sé stesso, tutto rovente il petto d'Amor sovrano, l'Assioma Filosofale Rigettarsi l'estraneo da ciò, che nell'interno si cova.


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I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula
di Francesco Fulvio Frugoni
1681 pagine 413

   





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