La Primavera in risulta vi si marita all'Autunno: Si dissolvono i nembi sdegnosi ad un'aria ridente: Le Grandini si disfanno in rugiade: I turbini si convertono in Zeffiri, & i diluvij dell'acque si cangiano [139] in Influssi di Gratie. Non più mugghiano le Nuvole gravide di Procelle in partorir'abbondante la Sterilezza: Non più fischian gli Euri frementi di rabbia a svegliar palpitoso il terrore: Non più stridono i gemiti de' guaiolanti Foresi in deplorare le loro Messi prima colpite, che colte. Le Vendemmie stillavano pianto, e non vino: Le Viti producevano spine a traffiggere l'animo, e non pampini a rallegrarlo. Trovandosi que' Popoli i loro poderi adhuggiati, senz'herba si riducevano al Verde, senza pascoli si vedevano in secco. Ad un tratto si varia la Scena, e dove strepitavano gli Aquiloni scherzano i Favonij; dove baccava il furore indomito si adagia Bacco sopito, dove la Bruma intempestiva cadeva spuntano i Fiori ameni, e le Biade s'indorano pretiose. Apprende il Cielo da FRANCESCO ad esser Sereno, l'Aere tranquillo, il Suolo ferace, placido il Mare, e dove pria di Pandora il Vaso versavasi straboccato, il corno di Amaltea si rovescia fecondo.
Entri qua hora a cantar le lodi del suo frequentissimo Benefattore la fida Sirena del famoso Sebeto, che co' fasti, degni della Grandezza Partenopea, accolse FRANCESCO nel numero de' sublimati suoi Protettori, o per dir meglio, fu dal medesimo accolta nel numero delle sue Città favorite.
Agghiaccia la Città di Nocera al mirar [140] l'aere inviperito dall'atro livore del Vesuvio vorace nel 1631, e mira col cenere in faccia scagliarsi da quell'Encelado, non più fulminato, ma fulminante, Trave rovente ad incenerirla; ma poi arde solo di giubilo, che colle sue fiaccole geniali protesta, poiché fu veduto ammorzar quel periglio ignito il Santo Vecchio, che tante volte quaggiù, con piè caduco, con man mortale, estinse i roghi, & accese i voti.
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